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fuori dal ghetto: la stampa femminile deve sparire

  • panemet
  • 14 ott 2014
  • Tempo di lettura: 5 min

Quando hai 15 anni e hai davanti le 15 righe leggibili di un librone di 360 pagine zeppo di pubblicità costosissima e patinata che ti arriva a casa, sei obiettivamente troppo malleabile per continuare a sfogliarlo.

La stampa di genere nasce nel 1700 per aggiornare le gentil donzelle di buona famiglia su tendenze di moda, buone maniere e affari domestici.

Laddove per affari domestici si intendeva la sfilza di abitudini da instillare nelle labili menti delle fanciulle per trasformarle in mogli perfette e compiacenti per il maschio di casa.

Siamo forse nel 1700? E allora che bisogno si avverte, oggi, di acquistare settimanali e inserti femminili di dubbia qualità?

1. La moda: ragazze, la moda la si fa da sé, si trova ovunque e, nonostante la crisi, in Italia la si respira da sempre.

La moda nelle riviste femminili ha ingrassato per anni gente come Karl Lagerfeld, il quale, al pari di colleghi del calibro di Vivienne Westwood, non fa mistero di attingere direttamente dalla strada l' ispirazione per le proprie creazioni. Significa che il signor Lagerfeld, quando avverte il bisogno di mischiarsi ai comuni mortali, esce di casa, si reca alla fermata del bus senza occhiali da sole e prende appunti.

2. La fotografia: siamo al solito punto. Ciò che la moda ha dato alla fotografia è un patrimonio visivo immenso. La fotografia ha dato alla moda la storia del costume, decretandone la consacrazione e il valore artistico. E' un fatto. Ma è vero che l' ultimo fotografo di moda che si conosca è David LaChapelle. Il resto, quello che è venuto dopo il 1998, è spazzatura tutta identica, in cui modella e ideale si fondono in un gelido abbraccio istigato da Photoshop. Andate a vedere l' archivio anni '90 di Herb Ritts e capirete.

3. La psicologia spicciola, cioè la strategia sessuale per tenerselo: ecco un argomento davvero senile. Le donne di ogni età non hanno bisogno che una free-lance sottopagata dica loro quante volte è meglio darla al proprio ex per tornare insieme. La risposta, da sempre, è una sola: nessuna. Chi vi dice altro sbaglia, o è single, o è un uomo.

4. La pubblicità: avete davvero bisogno di Guess, Paciotti e Dior, per essere trendy? Sapete che il diktat della vera fashionista ormai, è il marchio sottocosto in franchising con sessione rituale di shopping al mercatino dell' usato? Sì? E allora, dato che una connessione internet in un paese

(ancora) benestante non si nega a nessuna, perché non farsi un giro tra le migliaia di blogger (o tubbers), per consigli sponsorizzati? Sono delle brave ragazze, venute su senza raccomandazione, loro guadagnano per click, voi risparmiate, tutti contenti. Scelta eticamente perfetta. Inoltre: una Chanel matelassè parte da un prezzo di 800 (ottocento) eurini, taglia micro, fino a sfondare il tetto dei 2000, taglia medio-ampia. Bisogna attrezzarsi in tempi difficili, ed è meglio sapere che la stessa borsa, originale ma vintage a Camden Town si può trovare a un quinto del costo, con lo straordinario vantaggio che nel frattempo si è visitata Londra.

5. L' auto-ghettizzazione: il settimanale femminile in Italia, tra gli anni '60 e il 2000 ha vissuto un periodo particolarmente florido. Costruendo una cultura di genere, ha sensibilizzato gli animi su questioni sociali apparentemente distanti dal nostro microcosmo abituale. Tutti i reportage su uso del burqa, infibulazione e stupro di massa ci hanno fatto scoprire mondi, riflettere, indignare.

Ma se li avessimo letti su un qualsiasi quotidiano, sarebbe cambiato qualcosa?

Perché fermarsi a un punto di vista esclusivamente femminile? Da quando la tecnologia ha bisogno di una versione femminile? Non esistono abbastanza ragazze/donne/nonne nerd e smanettone hi-

tech? E la politica estera? Che peso ha la definizione “femminile”, in tali contesti? È sinonimo di “facilitata”, resa elementare, di agevole lettura per andare incontro alle limitate facoltà intellettive della readership di riferimento?

6. La formula “esticazzi”: si prendano due riviste femminili, quella commerciale e quella finto-impegnata (vedere alla voce perbenista-radical chic). Cosa c'è in copertina? Nella prima, modella

senza nome, nota solo agli addetti ai lavori (Cara Delevingne, per dire): stylist, MUA (make up artists) e fotografi che sognano di trovarsi al di lei regale cospetto. I tempi di Cindy Crawford sono finiti, abbella. Nella seconda c'è Adele, strapagata cantante inglese, pensionata a 23 anni, lievemente sovrappeso o ex tale (la fotografia mente quanto il video: allarga regalando un paio di taglie), titolo: la taglia del successo, raffinato gioco di sottintesi. Bene. A nessuno che abbia superato i 14 interessa il nuovo rouge mat sulla Delevingne e tantomeno la carriera della oversize (?) di talento. Ciò che sconcerta è che il comun denominatore sia il simbolo della vita agiata. Lo status da seguire strenuamente, ancora una volta non è la professionalità, la lotta dura alla conquista del proprio valore aggiunto, ma... il successo veloce, la visibilità mediatica, il talento puro che non necessita di limature, fatica, disciplina, ma grezzo e pronto da mandare in video. A botte di immagine, sia chiaro. Ma il problema non è l' immagine, è il sottotesto. Le donne da anni subiscono un bombardamento esasperante su una tipologia di riuscita di scarsa utilità. Se per tutta la vita ho sfogliato riviste in cui le persone di successo erano legate allo spettacolo o alla visibilità mediatica, è ovvio che identificherò l' autoaffermazione con la visibilità mediatica. Il tutto, prima di generare frustrazione, innesca tentativi di imitazione. Ho talento, ma come faccio a raggiungere quello che la società mi deve, senza immagine? E rieccoci al florido mercato della moda.

Certo, alcuni columnist attanagliati dai sensi di colpa, a volte si abbassano a scrivere di qualche sportiva da medaglia d' oro, o della CEO di Yahoo, Marissa Mayer. Ma sono sforzi sporadici e spesso patetici che tentano la strada dell' identificazione. Il dubbio è che la scelta più facile sia stata nutrire di giornalismo spazzatura intere generazioni di donne, rendendole un comodo target di consumo, cercando di indirizzarne le aspirazioni oltre che il senso estetico. Un processo certamente spontaneo, che non ha tenuto conto del fatto che le donne in Occidente, da più di un secolo, hanno accesso alle università, decidono autonomamente, si impegnano in politica anche da non cooptate, fanno “massa critica” se e quando vogliono, studiano medicina e fisica, si ingegnano per investire i propri guadagni, non vengono formate per mezzo di canali televisivi, network e marketing a meno che non lo vogliano. Sì, il mondo delle riviste femminili non rispecchia le lettrici, è rimasto al palo e, se non si evolve, non ha motivo di esistere.


photo: Cara Delevingne colta nella sua espressione migliore. editing: la redazione

 
 
 

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